Anziani e psicofarmaci

Stati d’ansia, sindromi depressive e vere e proprie malattie mentali (le cosiddette “psicosi”) hanno sempre accompagnato l’uomo nella sua storia, mentre è cambiato nel corso dei secoli l’atteggiamento della società e il tipo di approccio terapeutico. Fino agli anni ’70 del secolo scorso chi era affetto da gravi malattie mentali trascorreva buona parte della propria esistenza all’interno di strutture ospedaliere destinate esclusivamente alla cura dei pazienti psichiatrici (manicomi). In seguito, le modifiche dell’organizzazione dei servizi sanitari e disponibilità di numerosi farmaci efficaci per la cura dei disturbi psichici hanno ricondotto la gestione del paziente psichiatrico al proprio domicilio con  coinvolgimento inevitabile del nucleo familiare. Esistono molti fattori che possono generare ansia e depressione negli anziani: perdita del ruolo sociale, la scomparsa di persone care, difficoltà economiche, problemi di salute, la ridotta autonomia personale e così via … d’altro canto, nel caso di alterazioni delle capacità cognitive, come nelle demenze (malattia di Alzheimer o vasculopatie cerebrali), sono frequenti turbe del comportamento con stati di agitazione, e alterazione del ritmo sonno-veglia, il paziente dorme di giorno e di notte si agita e parla di continuo, in questo caso sono i conviventi a chiedere un aiuto al medico per ritrovare la tranquillità in casa. Nella prescrizione di psicofarmaci ci si trova sempre a mediare tra due atteggiamenti estremi, entrambi sbagliati: da un lato ci può essere un rifiuto di tipo “ideologico” della terapia  se non una demonizzazione (“sono droghe, non mi ci voglio abituare!”) dall’altro esiste un rischio concreto di abuso sia quando il farmaco è visto come una scorciatoia per superare banali  situazioni stressanti della vita quotidiana, sia quando viene utilizzato ad esempio per sedare un anziano che … disturba senza aver condotto prima una valutazione clinica accurata.  Il rischio di abuso aumenta nel caso di anziani “istituzionalizzati” (case di riposo, residence, lungodegenze) o in ambito familiare se manca una figura di riferimento affidabile.  Nel caso specifico del paziente anziano gli effetti collaterali degli psicofarmaci si manifestano con maggiore gravità: riduzione del tono muscolare e della vigilanza con conseguenti turbe dell’equilibrio e cadute, calo di memoria e concentrazione con aumentato rischio di incidenti domestici, anomalie del ritmo cardiaco, alterazioni psichiche di tipo imprevedibile. Oggi  il disagio e la sofferenza psichica dell’anziano sono più frequenti che in passato poiché  il modello prevalente di organizzazione della società, basato  su velocità, efficienza, produttività, emargina inevitabilmente la fasce di età più avanzate oppure , in tempi di crisi economica, ne riscopre solo l’aspetto economico. (la pensione del nonno come risorsa per il bilancio familiare). In questo contesto  la somministrazione di farmaci in grado di migliorare i sintomi del paziente (ansia, insonnia, umore depresso, apatia)  rappresenta solo una parte dell’intervento terapeutico, a questo sarà fondamentale affiancare l’elemento umano e quello sociale. Il mantenimento dei legami affettivi e una buona integrazione nella propria comunità, anche in età avanzata, sono i due elementi che insieme a un accorto utilizzo dei farmaci  possono garantire un pieno recupero del benessere psichico del paziente anziano.

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